da “Nel cuore dell’essere” di Giovanni Vannucci
Venerdì Santo
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio'” · Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!”· E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vì era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «’fatto è compiuto'”· E, chinato il capo, spirò. (Gv 19,25-30)
Nella riflessione di ieri consideravamo l ‘aspetto universale del mistero del pane e del vino sui quali Cristo dice: «questo è il mio corpo e questo è il mio sangue». E consideravamo che il pane è la terra, è la vita, e tutto ciò che vive, tutto ciò che si trasforma, è una forza vitale. E Cristo, pensavamo, ha assunto in sé tutta la terra, tutta la vita, che, dopo la venuta del Cristo, acquista un valore infinito e rivela, sempre attraverso Cristo, il suo cammino di ascesa verso un compimento di cui nel cuore portiamo la speranza, ma che non riusciremo mai a formulare pienamente fin tanto che non sarà compiuto.
E pensavamo anche al sangue, a Cristo che dice: «prendete e bevete, questo è il mio sangue». E fermandoci sul mistero, sul simbolo del vino, che dà gioia, dà canto, dà fiducia, dà ebbrezza, consideravamo che Cristo assume tutto ciò che libera l’uomo dalla vanità quotidiana, dalla pesantezza, dalla volgarità, dallo squallore. Allora il sangue di Cristo ci appariva il canto del poeta, la bellezza creata da tutti gli artisti, la musica dei sommi musici, il pensiero più acuto verso la verità dei grandi pensatori, le gesta di eroismo a favore e a servizio della vita compiute da innumerevoli uomini, la santità che fiorisce continuamente tra i figli dell’uomo per riaccendere la speranza e la fiducia e fare andare avanti l’umanità nel suo doloroso e pesante cammino.
E consideravamo anche che la Messa, cioè questa consacrazione, questa assunzione di Cristo della terra e del sangue, di tutto ciò che è vivo ed è nobile, nell’umanità e nella terra, è il nostro impegno quotidiano. Dobbiamo amare la vita perché è stata assunta da Cristo, dobbiamo amare la bellezza, la verità, la giustizia, l’amore, il dono di sé, perché sono stati assunti da Cristo e circolano nella nostra umanità, come il sangue di Cristo. E consideravamo anche come questa apertura della nostra coscienza alla vita e a tutto ciò che la rende più intensa e più affascinante e più appassionata, ci libera dalla divisione, dalla separazione, dal peccato. Il mio corpo, viene frantumato per la redenzione dei peccati, il mio sangue viene sparso per l’abolizione del peccato: le parole di Cristo ci apparivano in questo particolare significato. E io penso che non sia un’espressione retorica, ma un approfondimento meditativo e, quindi, un approfondimento verso la verità di queste grandi parole di Cristo, perché il peccato è la divisione. Il superamento del peccato è stato compiuto da Cristo e quando la nostra coscienza si apre a tutta la vita, a tutto ciò che è nobile e qualitativamente alto, e nasce in seno al creato, noi comunichiamo con le realtà del pane e del vino, del corpo e del sangue di Cristo, e siamo liberi dal peccato.
E oggi, nella liturgia, viene presentato alla nostra considerazione il mistero della Croce. E noi sentiamo vivamente la morte di Cristo. Nel primo canto parlavamo «de la crude! morte de Cristo» ed eravamo invitati a piangere amaramente su questa morte, perché Cristo è ancora crocifisso, e noi siamo ancora crocifissi: quante cose ci condizionano, ci deformano! quanti nostri aneliti vengono repressi e da noi e dagli altri! E questa emozione che noi proviamo, considerando il mistero della crocifissione di Cristo, diventa più vera e più autentica perché ci rivela uno stato di fatto: l’uomo è crocifisso. A qualunque razza, o stirpe, o nazione, o popolo, o paese, o gruppo appartenga, l’uomo è crocifisso . E attende la sua risurrezione e la sua liberazione.
Per comprendere, così, sulla linea della simbologia, il significato del Crocifisso, noi dobbiamo considerare il fatto della crocifissione, nel momento in cui si è verificato e nel modo con cui si è verificato, per far scendere in noi quelle conoscenze che sono scese dal momento della crocifissione di Cristo nella coscienza di tutti gli uomini, ma di cui dobbiamo diventare consapevoli, perché queste prendano sempre più possesso della nostra anima, della nostra mente, della nostra volontà, del nostro sentimento, in modo da renderci partecipi di quell’onda di vita che è scaturita con la crocifissione di Cristo e con la discesa del sangue di Cristo sulla terra. Non vorrei trattenervi molto a lungo, ma dirvi delle cose in una maniera sintetica, perché possiate comprendere quello che io penso, quello che tento di dirvi.
Cinque secoli avanti Cristo è apparsa sulla terra una grande figura di uomo che ha affrontato i problemi ultimi dell’esistenza e ha cercato di dar loro una soluzione. Quest’uomo è l’Illuminato, il Buddha. Egli ha chiamato la vita, “il nascere”; la sofferenza insita nella vita, “la precarietà della vita”. Osservando la malattia e il dolore, osservando che l’amore non è permanente sulla terra, osservando che. il distacco dagli amici è impermanente, è transitorio, osservando la morte come fine a una vita di sofferenza, a una vita effimera, a una vita legata a una continua mutazione, egli consegnò agli uomini e ai suoi monaci la grande rivelazione e disse: la vita è dolore, la vita è sofferenza; cercate di liberarvi dalla sofferenza, distaccatevi dalla sofferenza.
La vita è sofferenza perché noi uomini siamo attaccati all’esistenza, desideriamo intensamente vivere e desideriamo quindi un qualcosa di vuoto, di non permanente. Il distaccarsi allora dal desiderio della vita e vivere una condizione impermanente, in modo da lasciar fluire sulla propria mente, sulla propria coscienza, tutto il divenire, il trasformarsi delle cose senza esserne travolti, è il principio della beatificazione, dell’illuminazione, secondo il Buddha. Quindi la vita era considerata come un qualcosa di inevitabile per la nostra coscienza personale, ma da cui dobbiamo distaccarci per non essere travolti in una sofferenza senza fine.
Cristo, ed è questo il nuovo stato di coscienza – ho riportato il paragone perché possiamo in qualche maniera capire quelle trasformazioni profonde che ha operato nella coscienza dell’uomo la venuta di Cristo, il patire di Cristo e la risurrezione di Cristo – Cristo vede la vita non come un male, ma come un grande bene. Vede il dolore e la sofferenza non come frutto di un desiderio di vivere e di sopravvivere, ma come un qualcosa che l’uomo deve affrontare positivamente per crescere, per dare i suoi frutti e i suoi fiori, per dare all’umanità e alla vita tutto il meglio di se stesso. E Cristo vede la morte, e affronta la morte, e affronta il patire, ma non ne è travolto. Così la morte si spezza, si frantuma e Cristo risorge. Allora la vita è un dono, è un impegno austero, che deve essere affrontato da noi con grande coraggio e con grande positività.
La sofferenza esiste, esiste la malattia, esiste la vecchiaia, tutte cose che sconcertavano il Buddha, e noi sappiamo che, cristianamente, le dobbiamo affrontare, con spirito forte, sereno, perché è dall’incontro della nostra vita personale con queste pesantezze dolorose dell’esistenza che nasce in noi il riconoscimento della vita e sorge in noi, lentamente ma sicuramente, la vera vita, che è forte, che è nobile, anche se presuppone questo continuo passaggio di sofferenza, di sofferenza, di dolore, di amarezze, di distacco. Ecco, Cristo ci dice: affronta positivamente la vita, perché la vita viene da Dio e la vita è potenziata dalla presenza dello Spirito e la vita deve essere vissuta positivamente, qualunque siano i momenti, i momenti felici e i momenti tristi, i momenti nobili e i momenti di depotenziamento. Deve essere sempre affrontata da noi vigorosamente e serenamente. E allora la morte è vita, il dolore è via alla vita, l’amore è via alla vita. E anche le separazioni, per quanto pesino sulla nostra sensibilità, sono sempre una via verso una pienezza alla quale tutti siamo incamminati. Con la diversità fra il tempo prima di Cristo e il tempo dopo Cristo: dopo Cristo, la vita, con tutte le sue manifestazioni che rimangono immutate, viene affrontata positivamente perché, al di là della sofferenza c’è la gioia, al di là del dolore c’è la consolazione, al di là della morte c’è la vita, e una vita più piena, più sconfinata.
Come vedete, queste conoscenze che ho enucleato così brevemente, sono depositate nella nostra coscienza perché Cristo non ci ha dato delle verità razionali di cui dobbiamo appropriarci e che dobbiamo ripeterci per conoscere il suo mistero, Cristo ci ha dato la vita e la vita è conoscenza, e la vita è sentimento, e la vita è trasformazione operata da queste conoscenze e da queste emozioni che essa mette in moto. E se in noi c’è, in generale – poi quando siamo presi dall’onda della violenza e della cattiveria dimentichiamo tutto – se in noi c’è un rispetto alla vita, un amore per la vita, una prontezza a difendere ciò che è debole, ciò che è calpestato, questo ci viene da Cristo. E perché noi facciamo questo? Perché nel profondo della nostra coscienza c’è una speranza senza fine che dobbiamo rinnovare ogni giorno nel nostro incontro con Cristo. Perché l’umanità e tutto l’universo sono in cammino verso una manifestazione di pienezza, di vita, di gioia, di amore, di libertà che non conosciamo, ma che è in noi depositata come un germe chiamato a crescere, chiamato a svilupparsi, chiamato a dare tutti i suoi frutti. Questo sentiamo, e questo lo abbiamo ricevuto da Cristo, che incessantemente ispira queste grandi verità del nostro essere per trasformarlo, per renderlo più fertile.
Allora la morte di Cristo che commemoriamo oggi non è un pianto sul Cristo crocifisso duemila anni fa, ma è un momento di tristezza sull’uomo che è ancora crocifisso, su noi che siamo ancora crocifissi, su noi cristiani che ancora non abbiamo compreso che il nostro cammino deve trasformare l’uomo per renderlo più vero, deve trasformare noi stessi per renderci più veri e più liberi, più capaci di muoverci secondo il soffio dello Spirito e della verità cristiana. E attraverso la nostra trasformazione gli altri uomini dovranno essere trasformati e cambiati. Allora il momento di tristezza del Venerdì santo credo nasca da questa constatazione profonda della nostra coscienza che vede che l’uomo è ancora crocifisso; ma, al tempo stesso, questa tristezza è animata da una forte speranza, da una profonda fiducia – io direi da una certezza – che un giorno tutti saremo liberati da questa energia che Cristo ha introdotto nel profondo della nostra coscienza e che ci rende sempre più veri, sempre più liberi, sempre più capaci di amare la vita, di benedire la vita, sempre più capaci di partecipare a tutto quanto di nobile, di vivo sorge in mezzo agli uomini. E questo non per amore dell’uomo in quanto tale, ma per amore dell’uomo in quanto è stato assunto da Dio nella persona di Cristo. Noi siamo in cammino verso la divinizzazione dell’umanità e questo lo dobbiamo sentire con forza.
Io devo essere figlio di Dio, ognuno di voi deve raggiungere la trasformazione da figlio della carne e del sangue in figlio di Dio. Questo è il senso della vita religiosa portata da Cristo e per raggiungere la pienezza di vita di figli di Dio, aiuteremo noi stessi e gli altri a compiere il loro cammino di coscienze umane nella storia. Perché il nostro amore è per l’uomo vero, l’uomo reale, che ha una dimensione terrena, ma ha anche una dimensione più profonda che gli viene dallo Spirito, da Dio e dalla presenza, in ogni essere che viene all’esistenza, di Cristo, come parola, come verità e come vita.