tratto da “Una comunità legge il vangelo di Giovanni” di Silvano Fausti
«Da dove compreremo pane?», chiede Gesù a Filippo. «Da dove» indica l’origine, la natura. Si tratta di un pane che il discepolo ancora non conosce, come la Samaritana non sa da dove viene l’acqua (cf. 4,11), Nicodemo da dove viene il vento (cf. 3,8) e il maestro di tavola da dove viene il vino (cf. 2,9). È un pane che, a differenza dell’altro, si mangia senza denaro e senza spesa (cf. Is 55,1ss), che sazia e fa vivere.
Abbiamo visto che la Parola, diventata carne (c. 1), rinnova alleanza e tempio (c. 2), fa nascere dall’alto (c.3) e offre l’acqua (c.4) che fa camminare nella libertà del Figlio (c. 5). Ora ci rivela da dove viene e qual’è il pane che mantiene quest’esistenza nuova, in cui si beve «il vino bello», si diventa «casa del Padre», si riceve «il vento» dello Spirito, si beve l’«acqua viva» e si «cammina» nell’amore. Questo pane è Gesù stesso, il Figlio che si dona ai fratelli e Ii mette in comunione con il Padre.
Il racconto è narrato sei volte nei Vangeli, rispettivamente due volte in Mc e Mt e una volta in Lc e Gv. Al di là delle differenti accentuazioni – nello stesso diamante ognuno vede bagliori diversi -, tutti gli evangelisti interpretano il fatto in senso eucaristico: il pane prefigura il corpo di Gesù dato per noi, fine della sua e principio della nostra vita filiale e fraterna. L’eucaristia è il modo proprio di vivere del Figlio, il cibo di cui si nutre l’uomo risorto, che porta la sua barella e cammina nel sabato.
L’episodio, situato nel tempo di Pasqua, presenta una grande folla che segue Gesù, in un passaggio che va oltre il mare, sul monte. Sono chiare allusioni all’esodo. Con Gesù si compie l’esodo definitivo: si pone «il mare» tra sè e la schiavitù della morte, si arriva sul «monte», dove si riceve la Parola che diventa pane di vita. In questo cammino c’è sempre la «tentazione» di sfiducia: come vivere nella libertà, quale cibo garantisce di non morire?
Tutto il c. 6 è un gioco di equivoci sul pane, come prima con Nicodemo sul «nascere» e con la Samaritana sull’«acqua». L’equivoco nasce da un doppio senso: una parola ha un significato comune, ma anche un altro più importante da scoprire, di cui il primo è segno. La lettura simbolica della realtà fa la differenza tra l’uomo e l’animale. Ogni cosa non è solo sè stessa, ma anche rimando ad altro. Chi non lo coglie, è un «uomo animale», che non capisce le cose di Dio (cf. 1Cor 2,14), ma neppure quelle dell’uomo. Il cibo e il sesso, per esempio, servono all’animale per conservare la vita dell’individuo e della specie; per l’uomo invece sono relazione all’altro e servono non per conservare, ma per dare la vita. In un caso sono beni da possedere per vivere, nell’altro sono da donare per amore. L’uomo infatti salva la vita se la dona e la perde se la vuol possedere.
Il testo vuol chiarire che il pane, che sazia la fame dell’uomo, è la vita filiale e fraterna. Ne mangia chi accoglie Gesù, il Figlio amato dal Padre che ama i fratelli.
Il c. 6 forma un’unità articolata, da leggere di seguito. Inizia con due racconti, uno sul monte (vv.1-15) e l’altro nel mare (vv.16-21); segue il discorso/dibattito sul vero pane (vv. 26-59), che porta all’accettazione o al rifiuto di Gesù, alla confessione di Pietro o al tradimento di Giuda (vv. 60-71). Come sempre, il fatto è un segno: il discorso/dibattito non solo ne chiarisce il significato, ma è l’impatto tra l’ascoltatore e la Parola, che opera in lui ciò che il racconto dice. La Parola, come è principio della creazione, lo è anche della ri-creazione: fa esistere ciò che c’è, mettendolo in relazione con la sua sorgente.
Al centro del capitolo c’è «il pane», nominato 21 volte (su 25 in tutto il Vangelo di Giovanni). Come l’acqua da cui si nasce e l’aria che si respira, anche il pane simbolo primordiale di vita: lo si mangia per vivere. Ma, a differenza dell’acqua e dell’aria, non è solo dono della terra e de! cielo; è anche frutto di lavoro, condito di gioia e fatica, di speranza e sudore. In esso è inscritto, nel bene e nel male, il destino dell’uomo, unica creatura chiamata a collaborare con il Creatore per portare a compimento la creazione.
Gesù ha già parlato ai discepoli del suo cibo, che è fare la volontà del Padre e compiere l’opera sua (cf. 4,32-34). Egli vive di questo cibo, che è l’amore del Padre da comunicare ai fratelli, perchè passino dalla morte alla vita. Il suo pane è amare com’è amato; la sua opera è dare la vita ai fratelli.
Il testo manifesta «da dove» viene questo pane. Solo allora si capisce cosa è, come lo si mangia e cosa produce. La domanda di Gesù a Filippo serve ad aprire la mente al mistero di ciò che sta per compiere. È facile scambiare il Signore per un fornitore di pane a buon mercato; per questo la gente lo vuole proclamare re. E invece difficile capire che il pane è segno de! dono della sua vita di Figlio di Dio. Non si tratta nè di comprarlo nè di fare i conti con la propria insufficienza, bensì di accogliere colui che solo ha parole di vita eterna.
Il racconto, parallelo al miracolo di Eliseo (cf. 2Re 4,42-44), richiama il dono della manna nel deserto (cf. Es 161ss) e ha sullo sfondo il banchetto della Sapienza (cf. Pr 9,1-6; Sir 24,18-25) e il banchetto messianico (cf. Is 25,6-10a; 55,1ss). Dio dà la vita; ma qual è la vita che dà, se non la sua?
I vv.1-4 presentano i personaggi (Gesù, folla e discepoli), il luogo (oltre il mare, sul monte) e il tempo (è vicina la Pasqua). I vv. 5-10 preparano la lettura del fatto con un dialogo tra Gesù, Filippo e Andrea. I vv. 11-13 raccontano il dono de! pane, con chiaro riferimento alla cena del Signore. Gesù prende il pane, rende grazie e distribuisce; la gente mangia ed è sazia, mentre i discepoli sono invitati a radunare il sovrappiù. I vv. 14-15 mostrano l’equivoco delle folle: hanno mangiato, ma non hanno capito il pane.
Il racconto inizia con Gesù che va oltre il mare fin sul monte, seguito dalla folla, e mette alla prova i discepoli per indurli a capire il pane che darà; termina con Gesù che abbandona la folla, si ritira da solo sul monte e sfugge alla tentazione di chi lo vuole re. Da questa lontananza, in intimità col Padre, soccorrerà i discepoli nel mare in tempesta (vv. 16-21); rivelerà di essere lui il vero pane, proprio perchè non vuole regnare su nessuno, ma pone la sua vita a servizio di tutti.
A differenza degli altri Vangeli, Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucaristia, che ci dà la vita del Figlio. È infatti l’argomento di tutto il suo Vangelo. Però nel c. 6 ne illumina il mistero e nei cc.13-17 ne esplicita le conseguenze per la Chiesa che vive nell’attesa del suo Signore.
Gesù il Figlio che ha in sè la vita come dono del Padre. Ora la dona ai fratelli perchè ne vivano. Il gesto che fa e le parole che dice illustrano la sua vita di Figlio: prende il pane, rende grazie e distribuisce ai fratelli, saziando la loro fame.
La Chiesa vive di questo pane: è l’eucaristia, centro della sua vita. Non solo si sazia, ma ne raduna il «sovrappiù», perchè non vada perduto. E infatti la salvezza sua e del mondo intero.