da “L’altro l’atteso” – Le omelie del martire di Tibhirine di Christian De Chergè
Fès, Marocco — 13 aprile 1995 — Giovedì Santo (234)
Testi: Es 12,1-8; 1 Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
Mi ha amato fino all’estremo, all’estremo di me, all’estremo di lui.
Mi ha amato a modo suo che non è il mio.
Mi ha amato gratuitamente, graziosamente. E mi sarebbe magari piaciuto che lo facesse in maniera più discreta e meno solenne.
Mi ha amato come io non so amare: con una tale semplicità, oblio di sé, servizio umile e non gratificante, senza nessun amor proprio.
Mi ha amato con l’autorità benevola ma irremovibile di un padre e anche con la tenerezza indulgente e molto poco rassicurata di una madre.
Ero ferito al calcagno dal nemico comune, ed ecco che lui si mette proprio ai miei piedi: «Non temere —sembra dirmi — tutto è puro». Come Pietro, anch’io mi vergogno. Anche a me è capitato d’inciampare, alla sua sequela, e perfino di alzare il calcagno contro di lui.
Perché in me c’è un po’ di Giuda e avrei voglia anch’io di nascondermi nella notte, soprattutto se la Luce è venuta fin qui e fruga nelle mie tenebre. Per fortuna sta guardando solo i miei piedi e gli occhi possono sfuggirle. L’acqua che ha versato riuscirà a farmi piangere?
E io che sognavo l’amore come fusione tra me e lui. Invece mi ci vuole una trasfusione: il suo sangue nel mio sangue, la sua carne nella mia carne, il suo cuore nel mio cuore. Presenza reale d’uomo che cammina in presenza del Padre. Povertà, castità e obbedienza per ritrovare in me un figlio diletto. Ahimè l’amore si rivelava e ora mi scappa già. Eri qui ai miei piedi, tutto mio, ma non sono riuscito a trattenerti. Ed ecco che sta passando ai piedi del mio vicino, perfino di Giuda, e di tutti quegli altri di cui non si sa se siano davvero discepoli. E ho dovuto accettarli. Era il prezzo da pagare per rimanere con lui e per aver diritto al pane e al calice, questa sera.
Ha amato i suoi fino all’estremo, tutti i suoi. E tutti sono suoi, ognuno in quanto unico, una moltitudine di unici. Dio ha tanto amato gli uomini, da dare loro il suo Unigenito: e il Verbo si è fatto fratello, fratello di Abele e anche di Caino, fratello d’Isacco e nello stesso tempo d’Ismaele, fratello di Giuseppe e degli altri undici che l’hanno venduto, «fratello della pianura» e «fratello della montagna», fratello di Pietro e di Giuda e di entrambi che sono dentro di me. Per Dio, è giunta l’ora d’imparare quanto costa entrare in fraternità. Era venuto da Dio come Figlio unico. Ritorna a Dio come Fratello degli uomini all’infinito, trascinando la moltitudine fino all’estremo dell’Unico.
“Vi ho dato un esempio”: eccola li la lezione dei fatti, sulla tavola con il pane e il calice da condividere. Ma il libro di quel Maestro non è altro che il gesto del servo, sono il cuore e il corpo li consegnati, di piede in piede, di fratello in fratello, per imprimersi nella memoria. «Mio fratello, sorella e madre sono quelli che, a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, faranno come io ho fatto a voi». Ormai non c’è nulla di più puro di un’assemblea di fratelli che si amano l’un l’altro fino all’estremo — all’estremo della pazienza e della compassione — affinché nessuno vada perduto di coloro che Gesù, nostro fratello, offre stasera al Padre come suo Corpo e suo Sangue.